L’amica artista Dadamaino spiega i tratti dell’arte del pittore recentemente scomparso. La ricerca dell’originalità individuale e i rapporti con Morlotti, in una vita travagliata.
Il 14 maggio alla Villa Banfi di Carnate il pittore Edoardo Fraquelli, recentemente scomparso, ritornerà in una mostra “Mondonico, l’Adda e i dintorni”, unitamente ad altri autori quali Morlotti, Gola, Frisia, Carnà, Maggioni, Gaudino. Sarà un’occasione per valutare la sua arte tutta da scoprire e per sfatare il luogo comune che lo vuole simile a Morlotti. Per questo abbiamo intervistato una delle più importanti artiste del dopoguerra, Dadamaino di Milano, che l’ha conosciuto in occasione di alcune mostre milanesi ed ha abitato per un breve periodo a Merate.
A quando risale la sua conoscenza di Fraquelli come pittore?
Penso al 1959. Lo conobbi, tramite Piero Manzoni, in occasione di una mostra alla Galleria del Prisma in via Brera. Il gallerista lo stimava molto ed era considerato una speranza dell’arte. Con Manzoni lo frequentavamo anche se non spesso perché Fraquelli non abitava a Milano. Sebbene il suo lavoro fosse diverso dal nostro — che andava oltre la pittura — c’era comunque un rapporto di stima molto buono. Erano anni in cui si ricercava un altro tipo ti pittura attraverso nuovi materiali: non ci interessava l’arte descrittiva ma un’arte che rappresentasse un pensiero. Fu poi chiamata “minimale” o “concettuale”. Fraquelli affrontava un discorso di pittura ad olio in un contesto in cui predominavano le tendenze astratte nazionali popolari del Pci, il non figurativo e l’informale. Egli era più sul filone informale però pulito e non contaminato con il materico, tipico ad esempio del gruppo Cobra allora imperante.
Il rapporto tra Fraquelli e Morlotti è indubbio. Lei come giudica questa relazione?
Sarei prudente sul tema. Non ho mai conosciuto personalmente Morlotti e non conosco nemmeno tutta la sua pittura. Trovo però che fosse molto materico. Potrebbe avere delle affinità, ma che lui avesse preso da Morlotti no. Morlotti era legato alla terra, come una piante che vi si nutriva. Fraquelli invece più alla mente e si esprimeva in una trasparenza attraverso il segno. Difficilmente puoi trovare un quadro carico di materia. Può darsi, invece, che come tutti coloro che si aggregano nell’arte avesse un filone comune. Ma che lui fosse l’allievo no. Infatti, forse, per certi aspetti era più fantasioso di Morlotti.
Quali sono gli elementi che emergono dal lavoro di Fraquelli negli anni '50 e '60?
Avevo visto la mostra al Prisma: il fatto che non facesse il figurativo era già importante. Poi, se la malattia non l’avesse colpito probabilmente avrebbe fatto un altro percorso, sarebbe stato certamente meno isolato. Trovo sì che lui possa avere una certa affinità con Morlotti, ma non si assomigliano per niente. Fraquelli è un pittore di segno più che di materia, come ho già detto.
Dopo il biennio 85–86 Fraquelli dà una svolta alla sua pittura estremamente percepibile già individuata nel segno. Possiamo specificare?
È un peccato che, nel frattempo, di Fraquelli non ho più sentito parlare e l’ho perso di vista. Ho visitato la mostra retrospettiva alla Galleria San Fedele e ho constatato che aveva avuto un percorso doloroso, tipico di tutti gli artisti di qualità. L’arte è infatti un inferno, una sofferenza e solo chi è superficiale, un dilettante, può pensare che sia una gioia. Tu vuoi sempre cambiare e specialmente le persone che cercano si dannano l’anima, appunto perché si prefiggono uno scopo, ritengo che l’arte contemporanea sia una nuova filosofia che dia un senso alla vita nel contesto del materialismo attuale.
Prendiamo la televisione con i suoi messaggi: non ti dà il tempo di pensare, perché il tempo dell’ascolto, ti toglie quello del pensiero. Al contrario dell’arte che ti dà la possibilità di riflettere ed essere testimone del tuo tempo. Proprio come una nuova filosofia. Sento che a Fraquelli dobbiamo qualcosa perché, indubbiamente, lui era un bravo artista e deve essere valorizzato per quello che è. Non esiste l’artista più grande del mondo. Ognuno, nel suo specifico, raggiunge la sua grandezza perché l’arte è multiforme.
Ritengo Fraquelli un ottimo artista con quella vita così sacrificata, così terribile. È riuscito sempre a dare un concetto di purezza intellettuale e a testimoniare che l’artista è innocente alla fine, di quell’innocenza che non è stupidità ma sintesi dell’intelligenza. Non ha mai ceduto all’intrigo, è rimasto pulito. Ci ha lasciato i suoi quadri, l’essenza di se stesso e spero che venga studiato e valorizzato in profondità per il suo grande valore”.
Dadamaino, dall’intervista pubblicata di Luigi Erba “Fraquelli, l’espressione nel segno”, Giornale di Lecco, 8 Maggio 1995